Intervista a Roberto Conforti – Come si diventa un costumista?

Gli elementi per scegliere al meglio il proprio percorso professionale
Stilista, costumista o stylist? Non c’è molta chiarezza sulla differenza tra le tre professioni e spesso si tende a confonderle, quando invece svolgono lavori concettualmente molto differenti. Quale migliore occasione per fare chiarezza se non quella di intervistare chi ha fatto di questo campo il proprio lavoro? Lasciamo allora spazio a Roberto Conforti (www.robertoconforti.com) scenografo e costumista di fama per il cinema e la televisione.
Come e quando si sceglie di diventare costumista?
“Ho scelto di diventare costumista un po’ per gioco…
Dopo la laurea in architettura non ero soddisfatto del mio lavoro d’ufficio quindi ho partecipato ad un master europeo tenuto allo IED di Roma. Ho avuto la fortuna di essere stato scelto da Alberto Verso e Andrea Crisanti, e di poter partecipare a questo anno di durissimo lavoro e formazione. Eravamo 11 studenti provenienti da ogni parte del mondo (Brasile, Libano, Spagna, Norvegia solo per citare quelli che ricordo) ed io ero uno tra i quattro italiani ammessi…non poteva che essere una dura formazione di cui però vado orgoglioso.
Ad Alberto Verso devo tutto, anche l’incoraggiamento a non mollare mai.”
Quali caratteristiche e competenze deve avere un buon costumista?
“Un costumista, inutile negarlo, deve conoscere la storia della moda e del costume e comprendere la funzione di una sartoria, saper valutare un trucco ed una acconciatura, ma non è sufficiente.
Il costumista non è un “artista solitario” e non basta essere molto preparati. Fare costume è comprendere la sensibilità del pubblico, saper gestire le esigenze di una storia, il contesto socio culturale in cui si inserisce un film, le richieste di un regista, di un produttore, le caratteristiche fisiche e psicologiche di un attore, coordinare un reparto, rispettare delle scadenze, rispettare un piano economico, gestire sponsor e product placement, conoscere le nuove tecniche di ripresa, le nuove tecnologie anche di post produzione.

Tutto questo deve essere la piattaforma solida su cui ci si deve sedere prima di disegnare un costume che non deve essere un prodotto fine a se stesso, ma deve essere l’immagine dell’anima di un personaggio.

Dico sempre che il costumista “usa” una persona reale per creare un personaggio immaginario che il pubblico deve riconoscere.
Puoi parlarci della routine quotidiana del tuo reparto?
“Se per “routine” intendi la pratica e l’esperienza che si acquisiscono attraverso il lavoro e non lo studio ti posso assicurare che non c’è lavoro che non preveda uno studio approfondito.
Nessun film o opera teatrale o videoclip nasce dal niente, nessuna idea cade dal cielo, nessuno di noi inventa niente: tutto già esiste ma è la conoscenza e lo studio di ciò che è stato fatto prima di noi che può permetterci di reinterpretare un’idea in modo originale.
Se invece per “routine” intendi l’aspetto legato alla monotonia ti posso assicurare che è una sfumatura della mia vita e del mio lavoro, di cui né io né il mio staff, conosciamo il significato!”
Hai diverse esperienze, ci spiegheresti la differenza tra costumista e stylist?
Ho iniziato ad occuparmi di styling ovviamente con la pubblicità, poi alcune amiche e amici attori mi hanno proposto di occuparmi della loro immagine pubblica e quindi mi sono avvicinato anche a quella che ultimamente è diventata una vera e propria professione, ovvero lo “stylist per lo spettacolo”.
Il costumista e lo stylist sono due lavori filosoficamente diversissimi, più lontani di quanto si possa pensare.
Il costumista “veste” il carattere psicologico di un personaggio, gli dà una credibilità di racconto, ne segue l’evoluzione storica e sentimentale, ne suggerisce un carattere, un’estrazione sociale, una riconoscibilità ed il costume non è legato necessariamente alla moda del momento o al “bello”.
Il lavoro dello stylist parte, invece, da una prospettiva totalmente differente: è la persona la protagonista e non il personaggio! Lo stylist deve creare un’immagine pubblica decorosa e vincente, deve creare un “profitto” sia per l’attrice o modella che indossa quel vestito ma anche per chi lo produce.
Deve creare un “prodotto vendibile” ed è quindi un lavoro strettamente legato al marketing, alla moda, alle agenzie di stampa, agli sponsor, alle esigenze del brand che si sta pubblicizzando e dell’attore che dovrà indossare quel capo, alle richieste dei fotografi o dell’evento a cui si dovrà prendere parte.
Consiglieresti a un giovane di intraprendere questa carriera?
“Certe volte mi sento anche io talmente “giovane” che ho paura a dare consigli o almeno non mi riconosco una “voce credibile”. Comunque, come dico anche ai ragazzi che spesso mi scrivono inviandomi cv o chiedendomi consiglio, è importante lottare per ciò in cui si crede, qualsiasi lavoro si decida di fare.
Lavorare è faticoso, sia che si faccia il costumista o si lavori in banca o in officina, ma se si ha la fortuna di aver individuato il lavoro che ogni mattina ti mette la carica giusta allora sarà il lavoro più bello del mondo. Fare il costumista è un lavoro, come fare il medico, o l’elettricista, in cui è richiesto “il fisico” (citazione del mio maestro Alberto Verso!). Il lavoro del costumista è un lavoro fatto di fatica vera, in cui bisogna saper sopportare, anche psicologicamente, l’instabilità (anche economica) le molte ore in piedi, le ore di sonno perse, i crampi allo stomaco provocati dall’ansia, le pipì dimenticate, le famiglie lontane, la camere d’albergo, i bagni pubblici, il cibo nel cartone, gli amici a singhiozzo.
È il lavoro della “velocità di idea”, della risoluzione immediata dell’imprevisto (un attore malato che non si presenta, un attore che si taglia la barba la sera prima, una scarpa rotta al primo ciak, una macchia di vino sulla giacca, uno sponsor che non arriva, solo per citare i più comuni imprevisti); è il lavoro della diplomazia, della capacità di saper coordinare un reparto, delle estenuanti public relations, ma è anche il lavoro che ti permette di regalare una storia a qualcuno, per primo a te stesso.”